E’ risaputo che la sessualità rivesta un ruolo considerevole in ciascuno di noi, chi più chi meno dovrà rapportarsi ad essa, ed è indubbio che gli artisti essendo dei catalizzatori di emozioni – altrimenti non sarebbero artisti! – a maggior ragione la percepiscono come una parte rilevante – consciamente o inconsciamente – del proprio lavoro.
Se per la realizzazione di un dipinto di paesaggio o di natura morta si può fare a meno di una modella o modello, e quindi non soffermarsi sulla sua sensualità, nel ritrarre una figura umana l’esigenza di avere a disposizione una persona che posi – vestita o nuda che sia – è imposta per necessità.
Si può ovviare senz’altro con la fantasia, mettendo insieme diversi tasselli della propria memoria oppure ricorrendo ad una fotografia, che da quando fu inventata aiutò non poco i pittori e scultori, ma questo significa solo che qualcuno posò in precedenza, magari inconsapevolmente e per il tempo di un fugace sguardo o un rapido scatto della fotocamera.
L’articolo, il primo di una serie in quanto l’argomento è alquanto vasto, desidera illustrare questo aspetto per cercare di comprendere quanto le opere di un artista possano essere state influenzate dal rapporto che instaurava con la propria modella o modello.
Iniziamo a descrivere sommariamente la differenza, linea sottile ma non troppo, tra prostituta e cortigiana: la prima è la donna – o l’uomo, per par condicio – che fa sesso a pagamento, per dirla papale papale, senza ulteriori implicazioni; la cortigiana, detta anche meretrice onesta, senza sdegnare per l’appunto il meretricio, univa la bellezza fisica ed eleganza di comportamento a doti intellettuali, coltivate studiando canto e musica, esercitandosi nel ballo, studiando i classici magari direttamente in lingua originale.
Dall’antichità, al rinascimento e proseguendo nei secoli a venire, i pittori e scultori intrattennero rapporti con prostitute o cortigiane, la scelta sovente dipendeva dalla loro disponibilità economica, impiegandole come modelle per la realizzazione delle loro opere.
Unico periodo nel quale non attirarono l’attenzione di pittori e scultori, naturalmente per quanto riguarda lo studio del modellato dei corpi, è quello medievale: infatti, terminata l’epoca dell’arte greca e romana, nel medioevo le figure abbandonarono la somiglianza dal reale in quanto erano più che altro delle rappresentazioni simboliche del ruolo che rivestiva una determinata persona, quindi il corpo e il viso erano idealizzati e a volte standardizzati e potevano differire notevolmente dal reale.
Particolare del dipinto “Le tentazioni di Sant’Antonio Abate” del Tintoretto
E’ dal Rinascimento che l’attenzione degli artisti verso le meretrices honeste o cortegiane nuncupate, termini spesso ritrovati anche in atti notarili dell’epoca, ricominciò come un tempo, complice forse anche il cambiamento di costume che portò a un enorme sviluppo del meretricio e al suo sdoganamento pubblico (basti pensare ai banchetti papali dell’epoca per rendersene conto!).
Appartenere alla categoria delle cortigiane offriva, oltre che un reddito economico di buon livello, la possibilità per la donna di studiare e di frequentare ambienti intellettualmente vivaci, a volte preclusi al mondo femminile come ottimamente descritto nel film “Padrona del suo destino” che narra la storia di Veronica Franco (1546-1591), una famosa cortigiana veneziana che troviamo nel Catalogo de tutte le principal et più honorate cortigiane di Venetia, stampato intorno al 1565, figlia di Paola Fracassa anch’essa cortigiana.
Frequentata e amata anche da Jacopo Robusti (1518-1584), noto come Tintoretto, il quale forse ritrasse il suo viso in entrambe le donne tentatrici presenti nella sua grande opera “Le tentazioni di Sant’Antonio Abate” (e qui si potrebbe iniziare un’analisi psicologica del dipinto in rapporto con l’autore) e probabilmente anche in altri suoi lavori quali la Dama che si scopre il seno e nel dipinto Danae dove Veronica Franco posò nuda.
Quanto vi sia di vero in queste rassomiglianze, e se veramente si tratta di Veronica Franco, non è assicurato ma senz’altro il Tintoretto come altri artisti, intellettuali, aristocratici e uomini di potere all’interno della Serenissima, frequentò il suo salotto sul Canal Grande, dove la cortigiana onesta intratteneva gli ospiti cantando, suonando e leggendo le poesie che componeva lei stessa e che furono pubblicate nel 1575 in una raccolta denominata Terze Rime.
E la sua produzione poetica non era di poco spessore, tanto che attirò in tempi recenti anche l’attenzione di Benedetto Croce (1866-1952), che nei suoi Studi sulla letteratura cinquecentesca (1949) scrisse di Lei: “Impersona veramente in una sua particolare manifestazione lo spirito del Rinascimento… merita nella storia letteraria italiana un posto più largo…”.
E’ quindi indubbio che una donna di tale levatura, sia caratteriale sia intellettuale, stimolasse non solo sensualmente chi aveva la fortuna di annoverarla come amante, tanto che fu incaricata dal governo della Serenissima ad intrattenere nel 1574 per una notte Enrico di Valois (1551-1589), futuro re di Francia con il nome di Enrico III, allorché questi passo per Venezia, prestazione che probabilmente fece lievitare i prezzi per ottenere la sua compagnia ma anche le invidie di molte persone.
E forse fu questo clima di rivalsa verso chi aveva collezionato amicizie importanti e altolocate che, a causa di denunce anonime, la condusse davanti al tribunale dell’Inquisizione accusata di stregoneria, processo che fortunatamente la vide assolta ma certamente provata. Non si può che terminare lasciando l’ultima parola a questa straordinaria donna, che iniziò la sua carriera come semplice prostituta ma seppe diventare una raffinata cortigiana, un’amante appassionata e infine una musa ispiratrice per diversi artisti e letterati, riportando lo scritto Elevazione e conversione, tratto da uno dei suoi Sonetti:
Ite, pensier fallaci e vana spene, ciechi ingordi desir, acerbe voglie; ite, sospir ardenti, amare doglie, compagni sempre alle mie eterne pene. Ite, memorie dolci, aspre catene al cor, che alfin da voi pur si discioglie, e ' l fren de la ragion tutto raccoglie, smarrito un tempo, e in libertá pur viene. E tu, pura alma, in tanti affanni involta, slégati omai, e al tuo Signor divino leggiadramente i tuoi pensier rivolta: sforza animosamente il tuo destino, e i lacci rompi, e poi leggiadra e sciolta drizza i tuoi passi a piú sicur cammino.