Il duomo di Vercelli, la cattedrale di Sant’Eusebio, conserva al suo interno uno dei crocefissi più straordinari dell’anno mille, raffigurante un Cristo non sofferente ma trionfante com’era uso fin dal periodo bizantino.
Infatti solo con l’avvento del Francescanesimo il Cristo non verrà più rappresentato regale e trionfante (Christus Triumphans), si abbandona questa raffigurazione distaccata a favore di una umanizzazione che lo vede sofferente, il cui destino imminente è la morte corporale (Christus Patiens).
Del grande Crocifisso Ottoniano (metri 3,27 in altezza e metri 2,36 in larghezza), che si venera nel Duomo di Vercelli, probabilmente all’epoca uno tra i più grandi se non il più grande in assoluto, non vi sono documenti che attestino una datazione o l’autore, si ipotizza analizzando il suo stile che possa risalire all’episcopato di Leone (998–1026).
I pellegrini che percorrevano la Via Francigena e che si fermavano a Vercelli, importante centro culturale e politico in epoca comunale, oltre che fornita di un ospedale (un luogo non tanto per curare ma per ospitare: hospes->ospite), avranno ammirato con stupore e reverenza questo Cristo enorme realizzato in sottile lamina d’argento sbalzata e in parte dorata, un qualcosa che avrebbero ricordato e raccontato a lungo durante la loro vita.
Alla sommità di questo Crocifisso sono raffigurati i simboli dell’immortalità: il sole e la luna, parzialmente visibile l’Ascensione; nella parte inferiore la Discesa al Limbo di Gesù che ne trae Adamo ed Eva e la figura di un vescovo in atto di benedire l’offerente inginocchiato e accompagnato da un angelo con tribolo.
Il retro del Crocifisso OttonianoAccanto alla mano destra si trova la figura di Maria, mentre a sinistra quella di Giovanni; sul retro sono dipinti in monocromia, i Simboli della Passione, realizzati da una bottega d’arte vercellese verso la fine del ‘500.
Interessante individuare questi Simboli della Passione di Cristo: la corona di spine, un calice, il martello e le tenaglie, i chiodi, l’asta con la spugna, la lancia di Longino, un coltello e l’orecchio di Malco, il guanto, la scala, le corde, la borsa con i trenta denari, il gallo su una colonna ed infine in posizione centrale il velo della Veronica.
Nel 1983 dei vandali, probabilmente dei ladri improvvisati e quindi inesperti, cercarono di strappare le lamine argentate – forse pensavano fossero d’oro – causando danni notevoli sia al rivestimento sia al riempimento: solo dopo diversi anni di delicato e profondo restauro il monumentale Crocifisso è stato riportato in cattedrale, con all’interno un nuovo riempimento a sostituzione di quello originale che è stato musealizzato nell’adiacente Museo del Tesoro del Duomo.