L’affresco di Vincenzo Foppa (1427 circa-1515 circa), dipinto intorno il 1464 per il Banco Mediceo di Milano e ora conservato presso la Wallace Collection di Londra, mi permette, oltre che a presentare un’opera di uno dei principali artisti rinascimentali in area lombarda, di discorrere sul ruolo della storia.
L’opera è significativa dell’interesse che durante il Rinascimento si rivolse verso tutto ciò che apparteneva alla cultura classica, dall’arte alla filosofia: la riscoperta dei classici latini e greci era vista non tanto come lettura delle allegorie ma come studio della storia antica, dagli usi ai costumi della vita quotidiana, allo scopo di perseguire una rinascita culturale dopo i “secoli bui” del periodo medievale (…e qui ci sarebbe da discutere su questa asserzione degli umanisti!).
L’affresco rappresenta un fanciullo che dall’abbigliamento doveva appartenere ad una classe agiata, immerso nella lettura in un ambiente semplice ma ricco di elementi architettonici, con uno sfondato sul giardino, quasi a voler imprimere un’idea di connubio tra la creazione dell’uomo e quella della natura.
L’architettura a quei tempi era l’espressione di un’idea di perfezione, basti ricordare la Sezione Aurea che ispirò molte costruzioni e che rappresentava l’unione tra macrocosmo e microcosmo, tra l’universo e la natura e per traslazione tra Dio e l’uomo.
L’iscrizione latina che troviamo sulla panca, alle spalle del fanciullo, ci dice che il libro che sta leggendo è di “M. T. CECIRO“, cioè Marco Tullio Cicerone (106 a.C.-43 a.C.), il grande scrittore e oratore romano, oppure che il fanciullo sia Cicerone stesso nonostante sia abbigliato in modo più coevo all’epoca dell’autore dell’affresco.
Probabilmente, o almeno così viene oggi letto, si desiderava creare un ponte tra il pensiero classico e quello dell’epoca presente, una sorta di riflessione tra passato, presente e futuro che l’illuminazione soffusa e non proveniente da un unico punto, così come la mancanza di reali punti di fuga, conferiscono al dipinto – che ha un vago sentore di metafisico nel suo evitare i particolari – un qualcosa senza tempo.
Ma cosa legge di Cicerone? non ci sono indicazioni riguardo questo, ma si potrebbe azzardare – o almeno suggerire – che sia De Oratore, e che si sia soffermato a meditare sul concetto Historia magistra vitae (La Storia è maestra di vita), nel paragrafo che afferma “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis” (La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità).
La scelta di quest’opera è il pretesto per una personale riflessione, per la verità condivisa da diverse persone che non accettano che la Storia sia oramai relegata nella scuola, e anche nei media, a quattro informazioni – sovente molto ideologizzate ma ugualmente superficiali – che potrei riassumere con la citazione “chi non conserva il passato non può costruire il futuro”.
Oggi probabilmente se si dovesse dipingere un fanciullo (termine obsoleto, meglio dire teenager) lo si rappresenterebbe con lo smartphone in mano intento a sfogliare facebook mettendo “Like” a tutto spiano, anche sulle fake news che prenderà per vere perché non andrà al di là del titolo..
Il tutto molto distante da ciò che nel Rinascimento si pensava di insegnare alle giovani generazioni, far leggere Cicerone significava ritenere essenziale la conoscenza del Passato per creare un Presente nella prospettiva di un Futuro di cui i valori fossero degni dell’Umanità.
Togliamo la Storia, la memoria del passato e si ottiene una società disumanizzata, che si traduce anche in un disprezzo per la natura di cui si è dimenticato il rapporto armonico che ci avevano fornito col tempo filosofi e scienziati, nonché artisti che forse più di tutti nella loro sintesi espressiva cercarono di rappresentare l’equilibrio tra uomo, natura e cultura.
Non è quindi senza fondamento – si spera – il detto “L’arte salverà il mondo”… sempre che l’arte di oggi non rinneghi l’arte del passato!