Vi sono dei personaggi che per la loro vita o per le loro opere diventano icone di un’epoca, di uno stile o di un pensiero: il solo nominarli ci porta ad identificarli in un qualcosa di ben definito, sebbene potrebbe in alcuni casi semplificarne la lettura.
Una di queste icone, che potremmo definire della moderna femminilità, è Tamara Gorska, figlia di un facoltoso ebreo russo nata a Varsavia nel 1898, in pieno periodo zarista.
Nel 1916 sposò Tadeusz Lempicki, da qui il nome Tamara de Lempicka, ma a causa della rivoluzione russa si trovò costretta per la sua sicurezza e quella del marito – che fu arrestato per un certo periodo – a trasferirsi a Parigi nel 1918.
La Parigi di quel tempo era piena di vitalità, in campo artistico operavano cubisti e futuristi e Tamara de Lempicka iniziò con piglio spregiudicato a frequentare l’alta società e il mondo dell’arte.
Grandissima esponente dell’art decò, diventa ben presto icona dei ruggenti anni Venti, quelli che caratterizzarono un periodo ricco e disinibito che purtroppo preannunciava la fine della vecchia Europa, fine poi sancita definitivamente con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
La sua pittura è senz’altro influenzata dal cubismo, ma elaborata in modo personale. Sopratutto ritrattista, si afferma che in fondo realizzò solo autoritratti anche quando voleva rappresentare altro, è un intreccio di linee e curve che creano una anatomia deformata ma sempre ben riconoscibile.
Le figure sono compresse in spazi angusti, le pose contorte e delineate con colori la cui gamma tonale è alquanto ridotta ma arricchita da ombre nette, lo sguardo è sempre quasi assente, intriso di una malinconia indice di un certo malessere interiore.
In ogni sua opera vi traspare una femminilità esuberante, un desiderio di affermazione per quello che si è, un miscuglio di indipendenza, sensualità e ricerca d’amore, il tutto realizzato e trasmesso con grande eleganza.
Marco Mattiuzzi – 08/03/2019